
Maverick Vinales: un caso umano
Introduzione
Maverick Vinales: un caso umano. Messaggio per Maverick: è solo ironia.
Come si potrà notare “sfogliando” il sito, tendo a trattare argomenti che si avvicinano al mondo dello sport, il settore nel quale ritengo di avere più conoscenze. Questo articolo non fa eccezione, ma l’individuo di cui andrò a parlare mi ha, spesso, portato ad effettuare ragionamenti che riguardano la psicologia, il campo umanistico. Già, perché la domanda più frequente, quando si parla di “Top Gun”, è: “come mai, nonostante l’incredibile velocità, non lo vorrebbero nemmeno nel CIV ?”.
Partiamo dall’inizio
Partiamo dall’inizio. Maverick Vinales, nato nel 1995 a Figueres, in Spagna, approdò nel Motomondiale a soli 16 anni, nel 2011, partecipando all’ultimo campionato della storica 125, l’odierna Moto3. Il rookie impressionò tutti, arrivando terzo e mostrando bravura, aggressività e intelligenza; queste qualità gli consentirono di aggiudicarsi ben 4 GP, con la prima vittoria che arrivò in Francia, dove riuscì a sconfiggere l’eroe di casa Johann Zarco, campione Moto2 nel 2015 e 2016 e vicecampione proprio quell’anno. Il suo 2011 fu talmente grandioso, che il record per più vittorie nell’anno del debutto ha resistito per dieci anni, venendo battuto solo domenica scorsa da un altro fenomeno spagnolo, Pedro Acosta.
La salita
Il 2012 iniziò ancora meglio, con 5 trionfi nelle prime 9 gare, ma la seconda parte di stagione compromise la possibilità di vincere il campionato, con un secondo posto a Motegi come migliore risultato e troppi ritiri. Tra questi, il rifiuto di correre in Malesia, a causa della “poca competitività della moto”, giustificazione che si ripresenterà in seguito. Fortunatamente per lui, il 2013 si rivelò essere una stagione straordinaria, conclusa al primo posto con 323 punti e 15 podi in 17 gare disputate; a questo punto si vide il miglior Maverick, con un talento innegabile ed una forza mentale invidiabile.
Gli obiettivi
Nel 2014, il diciannovenne si spostò il Moto2, dove rimase per un anno: anche in questo caso, un anno da rookie ottimo, chiuso con un terzo posto e 4 vittorie all’attivo. Le sue prestazioni furono talmente convincenti che la rientrante Suzuki, con a capo un certo Davide Brivio (fautore della rinascita della Yamaha insieme a Rossi) non sprecò tempo a portarlo tra i migliori, nella MotoGP. I due anni dell’iberico in Suzuki destarono non poca attenzione nei suoi confronti. Con un mezzo lontano dai migliori, riuscì spesso ad entrare nella top 10 al primo anno (obiettivo da non sottovalutare) e nella top 6 al secondo, ottenendo anche un’inaspettata quanto dominante vittoria a Silverstone nel 2016. Per farvi capire, era dal 2007 che, sul gradino più alto del podio, non salivano né Ducati, né Honda e nemmeno Yamaha. Quest’ultima gli offrì un contratto, per il 2017, nel team ufficiale, dove avrebbe sostituito il partente penta campione Jorge Lorenzo ed affiancato il pilota più vincente ed influente di sempre, Valentino Rossi.
Chiaramente, la pressione era tanta ed il margine di errore minimo, ma Maverick Vinales sorprese tutti; i primi GP lo videro come re del campionato, dato che conquistò Qatar ed Argentina. Un ritiro in Texas gli costò tanti punti, che recuperò subito a Le Mans, dove vinse un duello all’ultimo sangue con il leggendario compagno(in quel momento leader del mondiale a 38 anni), ed il secondo posto al Mugello faceva presagire la fine dei giochi per chiunque; sfortunatamente, la Yamaha divenne poco competitiva e dovette cedere il passo ad Honda e Ducati, così Maverick si dovette accontentare di un terzo posto iridato, che lo vide, comunque, davanti al “Dottore”.
Perché “caso umano”
Qui, arriva la parte dove spiego perché questo pilota sia un “caso umano” e perché nessuno lo voglia. Si dava l’allora ventitreenne come uno tra i favoriti per la vittoria nel 2018, nonostante le condizioni non ottimali della moto del team delle tre diapason, ma la stagione fu la peggiore, da parte del team, dal 2003, con una sola vittoria riportata dallo spagnolo. Ora, mettendo da parte la questione “moto”, si può dire che la campagna iridata del classe ’95 fu fallimentare, perché arrivò, persino, dietro al “bollito”, concludendo in quarta posizione con soli 193 punti. Ciò che ha colpito di più, però, fu la sua estrema “bipolarità”, per dirlo in termini leggeri: se il venerdì, per lui, la moto era un fiorellino, la domenica sembrava un rottame.
Un uomo bipolare
Questo atteggiamento ha perdurato fino ad oggi: sorrisino e lamentino, sorrisino e lamentino per quasi ogni, dannato, weekend di gara. Il suo comportamento, parlando personalmente, mi portò ad odiarlo con ogni fibra del mio corpo, perché divenne sempre più insopportabile.
La “bipolarità” di Maverick Vinales ha raggiunto un punto di non ritorno proprio quest’anno, quando ha deciso di lasciare il team Yamaha, ma il pilota ha oltrepassato il limite di sopportazione domenica scorsa. Avete presente l’episodio della Malesia? Bene, perché questa volta, al posto di rifiutarsi di correre per la poca competitività del mezzo, ha cercato di distruggere, letteralmente, il motore della M1,pensando di rendere il tutto come un incidente. Ci si dovrebbe porre due domande, in questo momento.
La prima è: “Davvero è così instabile mentalmente che, per provare al mondo che i risultati deludenti non siano colpa sua, decida di fare proprio questo ?”.
La seconda, invece, sarebbe: “Davvero ha pensato di passarla liscia, nonostante il milione di telecamere a curva, le persone che lo osservano costantemente e la telemetria?”.
Ora si può concludere questa storia, fatta di alti e bassi, di sabotaggi e lamenti che ha, come protagonista, un’enorme testa di ozzac.